Quando il cibo è la nostra valvola di sfogo
A molti di noi capita spesso (e comunque è capitato almeno una volta
nella vita), di trovarsi nell’epicentro di un attacco di fame
compulsiva, quella fame che non parte dallo stomaco, ma da uno stato
emozionale.
In questa società, in cui bisogna essere “perfetti”, forti, pronti a
dare il meglio di noi stessi, non ci possiamo permettere di dimostrare
ed ammettere con serenità la nostra debolezza e fragilità. E’ così che
reprimiamo emozioni, quelle che non vogliamo provare: rabbia, delusione,
paura, vergogna. Ma queste sono un piatto della bilancia: nell’altro
piatto ci stanno la serenità, la pace, il coraggio, la determinazione,
la gioia. Non possiamo reprimere le prime… e poi aspettarci di provare
le seconde. L’una e l’altra si manifestano in equilibrio. Insieme. Ecco
quindi che quando non ci permettiamo di provare emozioni “negative”, di
guardarle negli occhi, il tutto implode. Si forma un buco nero che
risucchia tutto e ci si ritrova con le mani nel frigo e la bocca piena..
Idem vale per il controllo, perché controllare equivale spesso a reprimere.
Diamo spazio alle nostre fragilità, impariamo ad osservarle, come un
testimone silenzioso, che le guarda senza giudicare, senza dire “è
sbagliato”. Sono nostre, guardiamo come si esprime la paura, dove è
localizzata la rabbia o la tristezza. Respiriamole, dolcemente, come se
cullassimo un bambino.
Un rimedio floreale per aiutarci in questo processo è l’Oppresion
Free, fiori australiani, da prendere 7 gocce la mattina e 7 la sera
sotto la lingua. Con questa miscela di fiori, si lavora sul blocco
emotivo e si impara ad accettarsi in tutte le nostre manifestazioni.
E quando ci viene da pensare “Non ce la faccio… E’ più forte di me!”,
vale la pena chiedersi “Ma chi è…. me?” E concludo con questa frase del
saggio Hillel, come invito alla resa al momento presente,
all’accettazione di ciò che sono adesso:
“Se io non sono per me stesso, chi è per me?
E se io sono per me stesso, cosa sono?
E se non ora, quando?
Marilù Mengoni
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